Archivio mensile 27 Marzo 2022

DiMagnus

Chirurgia estetica: una storia lunga quasi 3000 anni

Gli interventi di ricostruzione di parti del corpo compromesse a seguito di infortuni, così come anche il desiderio di apparire più belli, è antico quasi come la civiltà dell’uomo. Certo, per poter parlare di chirurgia plastica vera e propria, bisogna aspettare il XX secolo, quando i progressi della ricerca scientifica hanno permesso di arrivare a poter offrire ai pazienti operazioni sicure e risultati soddisfacenti. Un esempio di eccellenza degli ultimi anni, ad esempio, è rappresentato da https://motiva.health/it/, che produce protesi per il seno e per il sedere in silicone di altissima qualità.

La civiltà egizia e indiana

Un papiro testimonia che, già 3000 anni fa, gli antichi esperti di medicina egizia tentavano di ricostruire parti del volto. Per quanto riguarda la civiltà indiana, ci sono testi del IV secolo a.C. che raccontano di come i trapianti di pelle venissero già effettuati, soprattutto per la ricostruzione del naso che, a causa delle leggi in vigore, veniva amputato come parte della pena inflitta ai trasgressori.

La Grecia e Roma

Il grande condottiero Alessandro Magno, a seguito delle sue campagne di conquista, venne in contatto con le civiltà orientali e, di conseguenza, dai loro progressi in campo scientifico comprese le tecniche di ricostruzione. Dall’Ellade, il passaggio a Roma fu inevitabile. Nell’antica Roma venivano amputate parti del corpo ai nemici (anche politici) e i chirurghi dell’epoca già riuscivano a offrire una soluzione ai malcapitati per mezzo di abili (per i tempi) interventi che, pur lasciando importanti cicatrici, contribuivano a risolvere parzialmente il problema. Anche la correzione del labbro leporino era piuttosto diffusa.

La civiltà turca

Dopo gli Arabi, anche i Turchi diedero il loro apporto a questo settore della medicina. Sono proprio loro che “inventarono” alcune tecniche per la riduzione del seno, che, per quanto riguarda solo i principi generali, possono essere ancora considerate valide. Inoltre, i turchi erano già esperti anche della parziale ricostruzione delle ossa malformate del volto.

La “scuola” italiana e quella inglese

Nel XV secolo, la professione del cerusico era appannaggio dei barbieri, che si tramandavano il mestiere di padre in figlio. Di questo periodo storico, sono note le operazioni di rinoplastica e addirittura i primi interventi di trapianto. In Inghilterra, più di due secoli dopo, arrivarono le tecniche della medicina indiana, che vennero ulteriormente sviluppate con successo, spesso per ovviare a mutilazioni di guerra.

La chirurgia moderna

Gli anni successivi alle due Guerre Mondiali furono di grande impulso al perfezionamento delle tecniche di trapianto e ricostruzione. Con i progressi nel campo della riduzione di infezioni e dell’anestesia, si arriva ai primi interventi migliorativi, tra cui la mastoplastica additiva, che in principio era realizzata in diversi materiali, nessuno dei quali garantiva risultati duraturi o naturali. Negli anni Sessanta, furono finalmente prodotte le prime protesi in silicone.

Proprio in questi ultimi anni, l’azienda https://motiva.health/it/ ha introdotto le sue protesi ergonomiche, che si adattano non solo alle proporzioni del corpo, ma anche ai movimenti. Il risultato di questi interventi rappresenta, in un certo senso, il punto di arrivo di questa “storia medica” di origini antichissime.

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Inca, divinità del Re, cultura e religione

Nonostante tutti i cittadini all’interno dell’impero Inca venissero considerati uguali, a guidarli era il Re, uomo considerato e venerato come semidio che aveva diritto ad una vita dedicata al lusso.

La famiglia reale

A rendere divino il Re era il suo DNA: il mantenimento del sangue reale era una priorità assoluta cosa che portava spesso a matrimoni tra fratelli e sorelle all’interno della famiglia reale.

Al sovrano era consentito avere diverse concubine e mogli rendendo così difficile la successione, spesso segnata da conflitti e lotte interne. La maggior parte delle decisione politiche e militari rimanevano in mano a sacerdoti, nobili e soldati che, nonostante ricoprissero cariche importanti, non avevano diritto a retribuzioni astronomiche come succedeva nella altre civiltà dell’epoca.

L’importanza della comunicazione

Gli Inca non avevano accesso alla tecnologia della ruota ma avevano comunque investito tempo e risorse nella costruzione di strade e ponti per collegare ogni angolo del proprio impero e rendere semplice la comunicazione tra i villaggi. Le strade inca ricoprivano ben 5.500 chilometri.

La religione e la scrittura

La scrittura Inca fu creata con l’obiettivo di essere adatta agli usi matematici. Le complesse transazioni di baratto erano registrate in importanti documenti compilati utilizzando i quipu, speciali corde colorate sulle quali venivano apposti nodi per rappresentare statistiche e numeri.

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Le origini degli Inca

L’impero Inca, contemporaneo dei vicini Maya e Aztechi, sorse nel XIII secolo e mantenne a lungo il controllo su parte del territorio sudamericano che oggi comprende Bolivia e Perù.

La nascita dell’impero Inca

Le tribù native delle regioni costiere del Perù iniziarono lentamente a sfruttare le risorse del territorio coltivando la terra e sfruttando gli ampi pascoli. Nacquero così le prime piccole città sparse lungo i larghi fiumi navigabili della zona che nel tempo si spinsero fino alla base della catena montuosa della Ande.

La forza degli Inca fu quella di trasformare il duro e impervio territorio alpino in un paradiso abitabile e coltivabile modificando a piacimento le pareti rocciose, cambiando il corso dei ruscelli e costruendo terrapieni per l’agricoltura.

L’ingegnosità degli Inca li spinse ad espandersi rapidamente e costruire un vero impero dominato dalla capitale Cuzco, popolosa città ricca di meraviglie architettoniche.

Unione sociale

Una delle ragioni per cui l’impero Inca riuscì a crescere rimanendo unità sta nel senso di appartenenza e aiuto reciproco presente nella popolazione: nonostante tutte le città fossero più o meno indipendenti, tutti i cittadini dell’impero erano pronti ad aiutarsi tra loro e cooperare onestamente con gli altri villaggi sia a livello economico che per la costruzione di strade, edifici governativi e per il bene comune.

Nella cultura Inca non esisteva la proprietà privata e non era diffuso l’uso di monete. I terreni coltivabili venivano distribuiti equamente in base al lavoro svolto e alla proprio produttività.

Quasi tutta l’economia Inca si basava ancora sul baratto e sullo scambio di forza lavoro.

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Aztechi, sport e religione

La cultura azteca non era solamente dedicata alla guerra ma anche al divertimento.

Il gioco della Pelota

Il gioco della Pelota era uno sport nel quale due squadre si scontravano giocando con una palla in gomma con l’obiettivo di tirarla o calciarla attraverso uno degli anelli posti ai lati del campo di gioco.

Purtroppo le regole non sono chiari nemmeno agli studiosi della storia azteca poiché perdute nel tempo.

Sacrifici agli dei

Altro punto focale della cultura azteca era la religione e i sacrifici dedicati agli dei.

Gli Aztechi credevano che ogni 52 anni il mondo venisse completamente distrutto e ricreato.

Questa ossessione verso un catastrofico futuro spinse gli aztechi a cercare continuamente di placare la rabbia degli dei fornendo numerosi sacrifici sia animali che umani.

Secondo le leggende, gli dei si tuffarono nel sole per far si che esso continuasse a bruciare; per questo, schiavi e prigionieri di guerra venivano sacrificati brutalmente in cima alle alte piramidi di pietra in modo da aiutare gli dei e continuare ad alimentare la luce solare. I sacerdoti erano tra le figure più importanti e potenti della cultura azteca poiché ritenuti il collegamento con le divinità.

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Chi erano gli Aztechi, guerrieri e conquistatori del Sud America

Il popolo Azteco dominò il territorio del Messico per buona parte della storia del continente americano grazie alla loro forza militare e economica.

I guerrieri giaguaro

Le origini di questo popolo sono nomadi ma, attorno al XII secolo, gli aztechi decisero di diventare sedentari e costruire le prime città nell’America Centrale mescolando il proprio patrimonio genetico a quello delle più piccole tribù già presenti sul territorio.

La loro espansione fu cruenta e sanguinosa: la forza dei guerrieri aztechi sembrava inarrestabile e l’obiettivo era sempre quello di sottomettere le civiltà confinanti mettendo a ferro e fuoco i loro villaggi. Nella cultura azteca, morire in battaglia era simbolo di grande onore e per questo i soldati, invece di essere spaventati, cercavano lo scontro diretto e combattevano con furore e coraggio.

Società e tradizione

Tenochtitlan, capitale dell’impero, sorgeva sul lago Texoco immersa tra canali e giungla tropicale.

Le case dei cittadini comuni erano costruite in legno e spesso su palafitte. Le strutture cerimoniali e religiose erano grandi piramidi di pietra e rendevano le città imponenti e maestose.

L’impero non aveva un governo centrale ma consisteva di città stato con diversi gradi di indipendenza.

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L’incontro di Teano e la nascita del Regno d’Italia

La conclusione della spedizione dei Mille viene storicamente posta al 26 Ottobre 1860, giorno in cui Garibaldi incontra finalmente il Re Vittorio Emanuele II a Vairano, all’interno della Taverna della Catena. Questo storico momento viene ricordato come “l’incontro di Teano”.

Il Re d’Italia

Famoso è il modo in cui Garibaldi si rivolse a Vittorio Emanuele II salutandolo con il nominativo di Re d’Italia e cedendo a lui i territorio conquistati dalle camicie rosse durante gli ultimi mesi di battaglia.

La fine dei Borboni

Francesco II rimane Re delle due Sicilie fino al 1861, momento in cui, dopo aver perso l’ultimo territorio campano, uscì dalla fortezza di Gaeta per iniziare il suo esilio all’interno del Vaticano.

Nel Marzo 1861, il Regno delle Due Sicilie diventa parte integrante del territorio dei Savoia, conosciuto ufficialmente come Regno d’Italia.

La nostra penisola però continuava ad essere un luogo diviso e gli anni successivi furono ricchi di scontri militare, soprattutto nel meridione, e crisi politiche ed economiche. Le battaglie che furono combattute nel decennio 1860 – 1870 furono più sanguinose di tutte le precedenti guerre avvenute sul territorio italiano e causarono la morte di migliaia di giovani soldati.

Le nuove gerarchie politiche e economiche

Con il cambio del governo cambiarono anche le élite a capo delle forze politiche e governative delle regioni italiani. Questi nuove facce si mostrarono però incapaci di comprendere la realtà sociale, culturale ed economiche del cittadini medio non riuscendo a rispondere alle crisi che affliggevano la popolazione rurale e soprattutto quella del meridione. Per questo nacquero numerose forze insurrezionali anti-piemontesi dedicate alla sovversione del dominio dei Savoia nel Sud Italia.

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I Mille e l’occupazione del meridione

Dopo aver completato in meno di un mese la conquista della Sicilia, le truppe di Garibaldi contavano circa ventimila reclute. L’armata partì per una nuova campagna, la conquista dell’Italia meridionale.

Da Melito a Napoli

Le camicie rosse approdarono a Melito il 19 agosto del 1860. I Borboni, presi alla sprovvista dal gran numero di nuovi soldati unitisi ai ranghi di Garibaldi, non riuscirono a organizzare una resistenza adatta all’occasione. Le truppe del Re di Sardegna ebbero vita facile, aiutati anche dall’insurrezione interna dei cittadini napoletani, e il 6 Settembre entrarono a Napoli come liberatori accolti da feste e celebrazioni,

Cavour e Vittorio Emanuele II limitano il potere di Garibaldi

Nonostante fossero felici delle vittorie ottenute da Garibaldi e le sue camicie rosse, sia Vittorio Emanuele II che Cavour iniziarono a preoccuparsi del potere e della popolarità acquistata dal generale poiché sospettavano potesse avere fini anti-sabaudi. Il Re decide quindi di unirsi alla battaglia attaccando dal nord Italia e lancia un’offensiva contro Umbria e Marche, utilizzando rivolte minori avvenute in alcune cittadine delle due regioni come scusa per intervenire a sostegno della popolazione locale. Questa scelta consente ai Savoia di aprirsi una strada attraverso il centro Italia e li aiuta a conquistare posizioni strategiche sia per continuare la conquista del meridione che per bloccare un eventuale arrivo a Roma da parte di Garibaldi. Le troppe dei Savoia trovano ben poca resistenza fatta eccezione per la battaglia di Castelfidardo, luogo in cui i volontari papalini decide di tentare il tutto per tutto finendo però per venire rapidamente sconfitto.

Con il pretesto di mettere al sicuro il papato, i Savoia annettono al proprio dominio la maggior parte dei territori fino ad allora sotto il controllo del Papa. Al capo religioso viene lasciato solamente il Lazio.

L’unica vera battaglia combattuta da Garibaldi in meridione si svolge a Volturno, luogo scelto dai borbonici per mettere in campo le proprie truppe. Il conflitto si trasforma rapidamente in una serie di rapide schermaglie che vede ancora una volta vittoriosi i garibaldini nonostante la loro netta inferiorità numerica. Cavour aveva ordinato alle troppe dei Savoia di astenersi dalla battaglia di Volturno ma furono numerose le divisioni che decisero di non ascoltare gli ordini e combatterono spalla a spalla con le camicie rosse di Garibaldi.

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Dallo sbarco a Marsala alla conquista della Sicilia, l’impresa di Garibaldi

Lo sbarco in Sicilia di Garibaldi è diventato simbolo dell’unità d’Italia ma gli avvenimenti che portarono al completamente di questa impresa furono del tutto casuali.

L’arrivo a Marsala

L’armata di Garibaldi, dopo aver sostato a Talamone per effettuare un rifornimento di armi e munizioni, arrivò a Marsala. Il caso volle che, nello stesso momento, al di fuori del porto della cittadina sicula si trovassero alcune navi militari inglese, presenza che impedì alle forze borboniche di utilizzare l’artiglieria contro i Mille.

In pochi giorni Garibaldi raggiunge Salemi e dichiara la città sotto il controllo del Re di Sardegna. A seguito del rapido successo della missione garibaldina, ai Mille si uniscono centinaia di nuove reclute provenienti dai territori reclamati che aiutano a dar forza all’armata e mantenere alto il morale. Il 15 Maggio, a Calatafimi, si svolse la prima battaglia tra Borboni e garibaldini: oltre 4.000 soldati borbonici vennero messi allo sbaraglio dall’armata di Garibaldi. A seguito della vittoria, i Mille arrivarono senza problemi a Palermo, città dove i combattimenti furono sanguinosi e videro i garibaldini unirsi ai cittadini palermitani insorti contro il regime borbonico.

La conquista di Palermo viene completata il 30 Maggio e viene posta sotto il governo provvisorio guidato da Francesco Crispi.

L’armata cresce e avanza senza sosta

Vittoria dopo vittoria, i ranghi della truppa garibaldina continuano ad infoltirsi grazie all’aiuto di nuove reclute provenienti da tutta Italia. Francesco II cerca di rallentare l’avanzata di Garibaldi acconsentendo ad alcune richieste del popolo come una nuova costituzione ed il cambio della bandiera. Queste riforme risultano però tardive e vengono ricevute come un affronto finale dai già esasperati cittadini del meridione.

La Sicilia cade interamente nelle mani di Garibaldi alla fine del mese di Luglio, momento in cui si svolge la battaglia di Milazzo e la presa di Messina, ultimo bastione dell’isola.